L’ASSURDO BUSINESS DELL’ACQUA IN BOTTIGLIA

Nel 1973 un ingegnere meccanico della Pennsylvania, tale Nathaniel Wyeth, ottenne il brevetto per le bottiglie in PET, capaci di contenere bevande gassate senza rischio di esplosioni.
Quest’invenzione ebbe una portata rivoluzionaria, ben vista dall’industria petrolifera (si pensi che una singola bottiglia è per il 10% composta da petrolio) e dai grandi brand, che trovavano un nuovo mercato in cui espandersi. Fino a quel momento, tutte le bevande contenenti bollicine avevano bisogno del vetro per poter esser imbottigliate, materiale che risulta difficilmente trasportabile in grandi quantità.




 
Dall’inizio dei settanta la bottiglia in plastica per uso alimentare è divenuto tra gli oggetti più diffusi al mondo, imponendosi come standard tanto per la praticità del materiale quanto per la facilità con cui è possibile effettuarne il trasporto. A fronte di queste note positive c’è però un “mare” di problemi che richiedono una sempre più imminente risoluzione: dall’evidente insostenibilitàdell’accumulo di rifiuti all’impatto sull’ambiente causato dai processi di produzione. Oggi consumiamo 1 milione di bottiglie di plastica al minuto e il trend è in crescita. È davvero necessario l’utilizzo di queste bottiglie se l’acqua del rubinetto è tranquillamente bevibile? Ma sopratutto, chi ha detto che l’acqua del rubinetto è di qualità inferiore?


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